Il mare di Napoli

Ognuno di noi sa che il signore, Dio nostro, è stato generoso e misericordioso con la città di Napoli.

Per la quale ha avuto sempre un occhio di riguardo, trattandola come una figlia, una innamorata dandole i doni più belli.

Le ha dato un cielo sempre azzurro, difficilmente turbato da nubi piangenti, le ha dato l’aria più fresca e benefica; le colline verdi con case colorate, divise da giardini sempre fioriti; il vulcano fiammeggiante ed appassionato; gli uomini più belli, buoni, innamorati; le donne piacenti, brune e virtuose; i fanciulli ricciuti, dai grandi occhi neri e intelligenti.

Poi per finire le ha donato il mare, un dono saggio, profondo, caratteristico.

Ogni bisogno, ogni inclinazione, ogni pensiero, ogni fantasia, trova il suo cantuccio dove si appaga, il suo piccolo mare nel grande mare.

Quando il Signore concesse a noi il nostro bel golfo, la leggenda vuole che disse: “sii felice per quello che ti ho dato, e se non lo puoi, se l’ incurabile dolore ti strazia l’ anima, muori nelle dolci onde del mare”.

Al passato appartiene il mare del Carmine; poco distante dalla spiaggia, vi è l’ antica porta del mare che introduce sulla piazza.

Sulla piazza si eleva il vecchio campanile, delle vecchie casupole tutte intorno.

Il mare del Carmine è scuro, e sempre agitato e tormentato; sulla spiaggia non vi è l’ombra di un pescatore, vanno e vengono facchini che scaricano a riva, ma non si canta ne si grida.

Questo è un mare molto pericoloso, esso in un temporale d’estate spazzò via uno stabilimento balneare; in un temporale di inverno allagò la Villa del Popolo.

Anticamente questo mare rappresentava il porto di Parthenope, dove approdavano navi greche, romane, ma non era un porto sicuro; esso è stato testimone di avvenimenti sanguinosi e feste popolari.

E’ un mare storico, cupo e poetico. Sulla piazza che esso lambiva, decine e decine di volte, sono state decise le sorti del popolo napoletano.

Le sue onde tempestose e malinconiche hanno dovuto mormorare per tanto tempo nomi come Corradino, Masaniello. Questo è il mare grande e triste degli antichi che sgomenta le coscienze dei moderni.

E’ pieno di gente e di vita invece il mare del Molo. Esso non è spiaggia, ma è un porto quieto e profondo, dove l‘acqua è nera, dove nulla si riflette. Sulla superficie galleggiano pezzi di legno, di gomene, sorci morti.

E’ un porto mercantile, dove le barche si stringono l’una all’altra, i brigantini carichi di grano, di farina, di carbone.

Sul marciapiede una gru eleva nell’aria il suo unico braccio di ferro che si alza e si abbassa. Uomini neri di sole, di fatica e di fumo, vanno e vengono. A destra c’è il porto militare, lo stesso, sporco e smorto.

Dappertutto sfilano barche, zattere, imbarcazioni pesanti; le voci si chiamano, si rispondono. Il mare del Molo, è quello dei grossi negozianti, dei grossi banchieri, degli spedizionieri, dei viaggiatori d’affare che partono senza rimpianto.

Il mare del popolo e per il popolo è invece il mare di Sana Lucia. Un mare azzurro e cupo, calmo e sicuro.

Su quella riva vivono tante persone. Le donne vendono l’ acqua sulfurea, i polipi cotti nell’acqua marina; gli uomini fanno le reti, pescano, fumano la pipa, guidano le barchette, cantano e dormono.

Qui c’è un profumo misto di alghe, di zolfo e di spezie soffritte. Sulla riva vi sono diverse osterie che preparano le loro tavole, dove la sera si imbandiscono cene napoletane. Suonatori ambulanti di violino, di chitarra, improvvisano concerti. D’estate un vaporetto porta a Casamicciola, e i barcaioli offrono a piena voce ai viaggiatori il passaggio fino al vaporetto.

Decine di stabilimenti balneari, tutti variopinti con bagnine che hanno sul capo un fazzoletto rosso. Una folla borghese e provinciale assale gli stabilimenti, e salgono nell’aria canti, suoni, strilli di bambini; tutto fiammeggia ed è ricco di colori e di odori.

Questo è il mare del popolo, un mare fedele, amante ed amato, con cui vive il popolo napoletano.

A breve distanza troviamo il mare del Chiatamone, un mare grigio e desolato. Non vi è nulla di azzurro e la serenità ha qualcosa di solitario che rende triste. Le onde si frangono contro il muraglione con un rumore sordo e cupo; a sinistra si eleva sulla roccia il castello, aspro, con angoli scabrosi. Contro la sua base di scogli si lanciano piene di collera le onde, e ricadono livide e piene di rabbia.

In queste acque un giovane nuotatore, vinto dalle onde, invano ha chiesto aiuto ed è morto annegato; una ragazza in una notte d’estate, disperata, dopo aver pronunciato una preghiera si è buttata in mare.

Questo è il mare del Nord, con la sua immensità deserta, con i suoi fantasmi. Come dice la vecchia leggenda, è il mare che Dio ha creato per i malinconici, per gli ammalati, per i nostalgici.

Il mare che ride, invece, è quello di Mergellina; ride nelle calde notti d’estate, nelle vele bianche delle sue barche. Sulla riva scorre una fontana dove fanciulli e donne vengono a riempire le loro brocche.

Un piccolo stabilimento balneare si congiunge alla strada attraverso una stradina, dove passano belle fanciulle vestite di bianco, con grandi cappelli di paglia ricoperti di fiori.

Qui passano le sposine attaccate al braccio dello sposo innamorato, i bimbi belli, dai volti sorridenti.

Questo è il mare del ridere, dello scherzare, dell’allegria.

Mergellina fatta per i giovani, per coloro che sperano e che amano, per coloro la cui vita è una ghirlanda di rose che si sfogliano e rinascono sempre vive e profunate.

Ma il mare dove finisce tutto il dolore è il mare di Posillipo, con i suoi diversi colori e ricco di bellezze.

Esso è un paradiso, è l’armonia del cielo, delle stelle, della luce, dei colori con la natura.

Il mare di Posillipo rappresenta un po’ tutta la vita, tutto quello che si può desiderare e volere.

E’ l’immagine della felicità piena, completa, per tutti i sensi. Il mare di Posillipo è il mare che Dio ha creato per i sognatori, i poeti, gli innamorati di quell’ideale che trasforma l’esistenza.